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07/02/2003
Inform./GEOIDE n. 12 - Dicembre 2002
COMUNICAZIONE CONFEDILIZIA DEL 08-11-2002
ConfEdilizia, toccano all’Enel le spese per la rimozione dei cavi elettrici dalle facciate in occasione di restauri o rifacimenti
CONFEDILIZIA, TOCCANO ALL'ENEL LE SPESE PER LA RIMOZIONE DEI CAVI ELETTRICI DALLE FACCIATE IN OCCASIONE DI RESTAURI O RIFACIMENTI
Le spese per la rimozione e l’interramento dei cavi elettrici in occasione di lavori di restauro o di rifacimento delle facciate delle case, spettano all’Enel (o all’ente pubblico, se si tratta di cavi per l’illuminazione pubblica).
Lo ha stabilito il Giudice di pace di Piacenza dott. Umberto Moizo, con una motivata sentenza depositata in questi giorni di cui dà notizia la Confedilizia.
Il caso è quello di un cittadino che, avendo necessità fossero rimossi cavi elettrici di illuminazione pubblica dalla facciata della sua casa per eseguire lavori, si era visto richiedere da un Comune piacentino (per effetto di una convenzione dello stesso Comune con l’Enel) la somma di un milione e mezzo di vecchie lire, “a titolo di rimborso spese”, che l’interessato aveva corrisposto al solo scopo di non ritardare i lavori edilizi in corso. Il proprietario della casa si era, però, poi rivolto al Giudice (con l’assistenza dell’avv. Giorgio Parmeggiani, del Coordinamento legali della Confedilizia) per ottenere la restituzione di quanto versato e il Giudice gli ha dato ragione, facendo applicazione della norma (definita “lapalissiana” nella motivazione della sentenza) di cui all’art. 122 T.U. 11.12.1933 n. 1775 che, al suo quarto comma, stabilisce che “salvo le diverse pattuizioni che si siano stipulate all’atto della costituzione della servitù, il proprietario ha facoltà di eseguire sul suo fondo qualunque innovazione, costruzione o impianto, ancorché essi obblighino l’esercente dell’elettrodotto a rimuovere o collocare diversamente le condutture e gli appoggi, senza che per ciò sia tenuto ad alcun indennizzo o rimborso a favore dell’esercente medesimo”. Il Giudice ha anche spiegato che la norma di cui trattasi si applica – sulla scorta di una consolidata giurisprudenza della Cassazione – sia nel caso di servitù di posa dei cavi elettrici sulle facciate e sui muri perimetrali degli edifici sorta per convenzione, sentenza o espropriazione, sia nel caso di servitù sorta “ab immemorabile”, per usucapione.
“La legge – dice la motivazione della sentenza del Giudice di pace di Piacenza – esclude in via assoluta ogni e qualsiasi spesa a carico del proprietario del fondo servente relativamente all’avvenuta rimozione e all’interramento dei cavi elettrici posti lungo i muri perimetrali e lungo la facciata dell’immobile, per cui il proprietario della casa nulla doveva all’Enel e la riscossione avvenuta tramite il Comune rientra pienamente nella fattispecie del pagamento di indebito”. Di qui, la condanna alla restituzione della somma a suo tempo pagata dal proprietario di casa nonché alle spese di giudizio.
“L’azione della Confedilizia per ottenere la cessazione di ricorrenti abusi, basati su prassi consolidate che non hanno però alcun fondamento giuridico – ha commentato il Presidente dell’organizzazione della proprietà immobiliare, Corrado Sforza Fogliani – comincia a dare i suoi frutti. Davanti alla iattanza di enti che hanno eluso ogni tentativo di concreto contatto da parte nostra, pensando di poter impunemente continuare nella loro prassi abusiva, abbiamo dovuto rivolgerci alla Magistratura, che ha confermato il nostro buon diritto. Siamo certi che altrettanto faranno i numerosi altri Giudici già investiti di analoghe questioni, ma torniamo ad invocare un diverso comportamento da parte degli enti interessati, che assecondi anche l’azione meritoria già svolta al proposito dal Ministero delle Comunicazioni, anche ad evitare l’aggravio di spese alle quali gli enti medesimi andranno inevitabilmente incontro, persistendo nel loro atteggiamento d'altri tempi, chiuso ad ogni concreto dialogo”.
UFFICIO STAMPA
12/2002
Sentenza della Commissione tributaria regionale di Bologna
NIENTE ICI SULL’AREA EDIFICABILE SE È ADIBITA AD ATTIVITÀ AGRICOLE
L’area edificabile sulla quale vengono esercitate le attività agricole non è soggetta al pagamento dell’imposta comunale sugli immobili.
La Commissione tributaria regionale di Bologna, con la sentenza 183 del 30 settembre 2002, ha stabilito che il terreno, qualificato dal Comune come edificabile, posseduto dall’Istituto diocesano per il sostentamento del clero, sul quale vengono esercitate attività agricole non può essere assoggettato a imposta, in quanto è applicabile alla fattispecie l’esimente dettata dall’articolo 2, comma 1, lettera b) del decreto legislativo n. 504 del 1992.
Nel caso in esame, il principio affermato non può essere condiviso, posto che il giudice d’appello ha travalicato le richieste formulate dal contribuente, peraltro riconoscendo un beneficio non spettante.
In primo luogo, è da porre in evidenza che se il contribuente non ha chiesto nell’atto introduttivo del giudizio il primo grado il riconoscimento dell’agevolazione che compete ai coltivatori diretti (vale a dire la finzione giuridica di non edificabilità del suolo), questione che doveva essere riproposta nel giudizio di appello, il giudice tributario non poteva riconoscere il beneficio stesso senza una espressa richiesta della parte interessata, che si era limitata a contestare il valore dell’area accertato dal Comune. Ne consegue che, mancando tale espressa richiesta, la sentenza è illegittima poiché emanata in violazione dell’articolo 112 del Codice di procedura civile, che afferma il principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato;
Inoltre, la sentenza è priva di fondamento anche nel merito. Infatti, l’articolo 2 del decreto legislativo citato, prevede che sono considerati non fabbricabili i terreni posseduti e condotti dai coltivatori diretti o da imprenditori agricoli sui quali persiste l’utilizzazione agro-silvo-pastorale;
Al riguardo, l’articolo 58, comma 2, del decreto legislativo 15 dicembre 1997 n. 446, dispone che, per quanto concerne le agevolazioni Ici riguardanti i terreni agricoli, così come previsto dall’articolo 9 del decreto legislativo n. 504, si considerano coltivatori diretti o imprenditori agricoli a titolo principale le persone fisiche iscritte negli appositi elenchi comunali previsti dall’articolo 11 della legge 9 gennaio 1963, n. 9, e soggette al corrispondente obbligo dell’assicurazione per invalidità, vecchiaia e malattia.
La cancellazione dai predetti elenchi ha effetto a decorrere dal primo gennaio dell’anno successivo.
Tale disposizione, assume rilevanza non soltanto agli effetti dell’applicazione delle agevolazioni previste dall’articolo 9 del decreto legislativo n. 504 del 1992, sotto forma di riduzione d’imposta, ma anche riguardo alla finzione giuridica di non edificabilità dei suoli.
La qualifica di coltivatore diretto, ai sensi dell’articolo 2083 del Codice civile, implica l’esercizio di un’attività professionale organizzata prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti della propria famiglia. L’apporto lavorativo del coltivatore e dei familiari non deve risultare inferiore a un terzo del fabbisogno lavorativo dell’azienda, e il lavoro apportato dal solo coltivatore diretto non deve essere inferiore a 104 giornate annue.
Ai sensi dell’articolo 12 della legge 153 del 1975, si considera imprenditore a titolo principale quello che dedica all’attività almeno due terzi del proprio tempo di lavoro e che ricava dall’attività stessa almeno due terzi del proprio reddito complessivo.
Pertanto, come evidenziato dal Comune, mancavano i presupposti richiesti dalla legge per il riconoscimento del beneficio all’Istituto diocesano.
Sergio Trovato
Fonte: ConfEdilizia
Editoriale